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La fonte statale primeggia per forza sulla legge regionale e deve considerarsi la giusta applicazione della normativa costituzionale.

Quindi le leggi regionali non possono derogare alla legge statale ma soltanto specificarla. In una posizione gerarchica delle fonti, l unica strada per derogare alla norma statale è il mezzo della norma di applicazione degli statuti regionali speciali, che com è chiaro sono fonti atipiche e sovraordinate alla legge ordinaria per il loro diretto collegamento alla Costituzione. Difatti, la Corte sostiene che la regione ben avrebbe potuto riferirsi alla norma di applicazione dello Statuto «per inserire eventuali norme (…) derogatorie rispetto alla disposizione della legge n. 482 del 1999» . Una eventualità stabilita dalla medesima l. 482 (art. 18) e proveniente dal carattere negoziato e bilaterale delle normative di applicazione, sulla cui ammissione lo Stato ha in realtà un potere di veto.

Con la recente pronuncia n. 170 del 2010, la Corte costituzionale ribadisce alcuni aspetti essenziali nella valutazione dell ambito giuridico mediante il quale si manifesta, nella legislazione italiana, il criterio della difesa delle minoranze linguistiche.

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Principalmente, la Corte, con questa (SA) ultima pronuncia in materia di lingue minoritarie, sostiene nuovamente la difesa delle minoranze come obiettivo costituzionale.

Allo stesso tempo, però, sostiene nuovamente pure la presenza di una competenza esclusiva statale in merito attribuendo solo una limitata facoltà di applicazione della disposizione normativa statale alla legge regionale.

Soprattutto, la Corte costituzionale dichiara incostituzionale l art. 1, comma 1, della legge della Regione Piemonte 7 aprile 2009, n. 11, in maniera limitata alle parole «la lingua piemontese,» per trasgressione dell art. 6 Cost., nell applicazione ad esso data dalla legge n. 482 del 1999, avendo la Regione evidenziato un eccesso delle proprie facoltà, laddove ha assegnato alla “lingua piemontese”, non inclusa di nuovo nel richiamo delle lingue minoritarie di cui all art. 2 di suddetta legge, un valore uguale a quello attribuito per queste ultime.

Il ricorso governativo è avverso la norma della Regione Piemonte che uguaglia la “lingua piemontese” alle lingue minoritarie salvaguardate dalla legge quadro n.482/99 riportante normative in ambito di protezione delle minoranze linguistiche storiche per assegnare ad essa la stessa tipologia di protezione attribuita in genere alle lingue minoritarie.

La tutela governativa ritiene nella (SA) impugnazione che la legge piemontese eccederebbe dalla competenza regionale, in quanto competerebbe in capo alla legge statale la potestà di emanare leggi in siffatto settore.

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L avvocatura generale afferma, altresì, che la difesa delle minoranze linguistiche sfugga alla riparto per disciplina evidenziata dall art. 117 Cost., dovendosi qualificare “ non tanto come “disciplina”, ma come “argomento” o tuttavia “valore”, che comprende in maniera trasversale differenti discipline”.

La Regione Piemonte si difende sostenendo che “la difesa delle minoranze linguistiche rappresenta criterio essenziale della Costituzione” interessando dunque tutti gli istituti territoriali e ritenendo che la valorizzazione della “lingua piemontese” sia da considerare come parte della salvaguardia del patrimonio culturale.

Nella decisione della Consulta, la legge quadro n. 482/1999 che applica la disposizione dell art. 6 Cost. viene ritenuta non soltanto una legge generica della disciplina, ma per lo più una normativa interposta, agendo dunque come fonte sovraordinata, come criterio di controllo costituzionale rispetto ad operazioni legislative delle Regioni.

La Corte sostiene ciò senza evidenziare le ragioni tecnico-giuridiche per cui si possa ritenere la legge quadro n. 482/99 una normativa interposta, restando così oscura il carattere di quest ultima. Risulta chiaro che non si tratta né di una legge di delega e neppure, pur rappresentando la circostanza più probabile, di una legge statale che fissa i criteri essenziali nelle discipline di competenza concorrente, in quanto la disciplina delle minoranze non è inclusa nell elenco dell art. 117 3° comma Cost.

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La Corte, riferendosi alla tecnica dell interposizione, sposta il tema delle minoranze dalla parte delle fonti, e dunque, dalla parte delle relazioni tra Stato e Regioni alla sfera dei criteri essenziali. In questo ambito la Corte evidenzia come l art. 6 Cost. sia posto dunque nella sezione connessa ai criteri essenziali e non nel titolo della Costituzione connesso alla legislazione regionale (ossia nell art. 108-bis) come è stato presentato in ambito di Costituente (sent. 170/2010 punto 4 cons. di diritto).

Questo intervento fa sì che l art. 6 Cost. venga a mancare del proprio contenuto in quanto si ritiene che è la legge statale a valutarlo che diviene così il criterio esclusivo per il sindacato di costituzionalità della legge regionale in tale ambito .

Se è vero che vi è una potestà legislativa in ambito di salvaguardia delle minoranze linguistiche pure delle Regioni a statuto ordinario, e soprattutto in collegamento con le ragioni di convergenti salvaguardie dell identità culturale e del patrimonio storico dei propri gruppi, essa sicuramente non serve ad assegnare a quest ultima la facoltà autonoma e indiscriminata di individuare e salvaguardare – a qualsiasi effetto – una propria “lingua” regionale o altre proprie “lingue” minoritarie, pure al di là di quanto attribuito e decretato dalla legge statale.

Né, tanto meno, può permettere alla legge regionale stessa di determinare o rappresentare, sia anche in maniera implicita, la “propria” comunità in quanto tale – soltanto perché si riferisce, a livello personale, alla sfera territoriale di propria competenza – come “minoranza linguistica”, da salvaguardare in base all art. 6 Cost., essendo del tutto chiaro che, a livello generale, alla precisazione politico-amministrativa dei differenti organi territoriali all interno di una stessa più estesa e raggruppata compagine politica non possa considerarsi automaticamente coincidente – né, a livello specifico, ugualmente importante – una divisione del “popolo”, ritenuto come comunità “generale”, in incerte sue “frazioni”.

La pronuncia in questione, pur collocandosi all interno di un orientamento giurisprudenziale datato e ormai sostenuto, presenta una efficiente riconsiderazione della disciplina della difesa delle minoranze linguistiche.

Queste, difatti, non vengono più esaminate sotto un rigoroso principio di ripartizione delle competenze normative, già evidenziato con la pronuncia n. 159/2009.

Diversamente, nella circostanza in questione viene proposta una valutazione del problema, rivolta alla definitiva esclusione di una qualunque operazione regionale per la salvaguardia e la valorizzazione delle “lingue minoritarie” che non siano state preventivamente censite ed identificate dalla legge nazionale.

Conclusioni -Il rigoroso principio ermeneutico di carattere “territoriale” cui si ispira la legge n. 482/1999, la cui materia troverebbe attuazione soltanto con riguardo alle lingue minoritarie (con riconoscimento dalla medesima legge) «soltanto nei luoghi in cui vi è una sufficiente presenza di persone che appartengono alla minoranza medesima», non basa che un unica e sola competenza di tipo regionale: quella connessa alla ricognizione dei posti in cui sussiste la minoranza e la relativa applicazione – secondo le prescrizione derivate dalla generale materia statale – della difesa e valorizzazione della minoranza.

Repentino effetto di siffatto stato di cose, in base al recente orientamento giurisprudenziale e legislativo regionale, è la totale incapienza della legge n. 482/1999, esplicitamente emessa per difendere le “minoranze linguistiche storiche” di popoli che vi risiedono in maniera stabile ovvero parlanti lingue differenti dall italiano.

Nulla si dice in merito agli idiomi locali che non si elevano a dignità di lingua (i c.d. dialetti), che possono in modo ragionevole venire salvaguardati e valorizzati; diversamente qualsiasi altra “lingua” differente da quella italiana non rientra in tale difesa.

In merito occorre evidenziare che la relazione tra “lingua” e “dialetto” non è identificabile in maniera agevole, vista l assenza di principi scientifici o universalmente accolti che evidenzino questo particolare discrimine.

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Di solito, le diversità linguistiche sono considerati “dialetti” allorquando non abbiano riconoscimento; perché ai gruppi dei locutori della diversità non coincide alcuno Stato a sé stante che la riconosca come propria, o alcun gruppo etnico che venga riconosciuto e si riconosca come tale; perché non sono usate per redigere; perché non hanno prestigio presso i locutori e/o presso altri. Comunque, tralasciando queste questioni di tipo tecnico, si evidenzia che con la valutazione in esame è stato soltanto espunto qualsiasi riguardo ad un asserita “lingua piemontese”, conservando l impostazione della legge regionale n. 11/2009 in merito alla difesa e valorizzazione dell «originale patrimonio culturale e linguistico del Piemonte, come anche quello delle minoranze occitana, franco-provenzale, francese e walser» (art. 1, c. 1), ancorché quest ultima non sia in nessuna maniera inclusa nell elenco di cui all art. 2, della legge n. 482/1999.

Inoltre, si deve considerare che la Corte costituzionale, sostenendo la considerazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri ricorrente, evidenzia l inserimento di altre “lingue” non esplicitamente riconosciute da una normativa statale generica soltanto in quanto riconosciute come tali, con l eventuale lesione di quella “unità nazionale” tanto sostenuta dopo la riforma costituzionale.

Di nuovo si vuole escludere il riconoscimento alla regione «di una legislazione del tutto differente da quella attuale e contraddistinta da organi idonei ad accentuati sistemi di natura federalistica, di solito derivanti da evoluzioni storiche in cui le entità territoriali componenti lo Stato federale conservano modalità ed istituti che risentono della loro sussistente circostanza di sovranità», sulla base di una sostenuta giurisprudenza costituzionale particolarmente prudente in merito alla valutazione della portata reale della succitata costituzionale del 2001.

Le suddette pronunce affermano la teoria in forza della quale non si possono uguagliare i dialetti italiani (il friulano, il piemontese ecc.) alle minoranze linguistiche difese dalla Costituzione e dalla l. 482/99, che rappresentano un patrimonio culturale specifico