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Il bisogno di difesa della salute del detenuto come anche il bisogno di assicurare il diritto di assistenza da parte dei propri familiari di fronte ad una malattia, riguardo al differimento dell attuazione della condanna detentiva, viene stabilito dagli artt. 146 (Rinvio obbligatorio dell attuazione della pena) e 147 (Rinvio facoltativo dell attuazione della pena) del codice penale come anche dall art. 11 dell Ordinamento Penitenziario, che rappresentando uno dei criteri fondamentali nella scelta del rinvio, precisa come “incompatibilità” la verifica della capacità e il livello di esecuzione delle prestazioni dell Amministrazione penitenziaria, accertando non soltanto la gravità della malattia e gli effetti derivanti, ma pure se siffatta patologia possa essere curata nella azienda sanitaria del penitenziario o in altro posto esterno.
Pure la giurisprudenza e la dottrina sembrano d accordo nel considerare che la patologia grave deve essere verificata alla luce di valutazioni "connesse alla qualità dell assistenza erogata dal penitenziario, alle diverse scelte a livello terapeutico, ai rimedi prescritti dai clinici e alle possibilità di cura e miglioria che il richiedente può ottenere concretamente dalla sospensione".
Il rinvio dell attuazione della pena costituirebbe dunque il rimedio residuale, al quale cioè fare ricorso "in tutte quelle circostanze in cui il diritto alla salute ed all incolumità personale del carcerato non sia diversamente salvaguardabile da parte della totalità degli strumenti legislativi stabiliti (assistenza interna, assistenza in strutture cliniche specialistiche dell amministrazione, assistenza in ospedali esterni sulla base dell art. 2 legge penitenziaria), ovvero il protrarsi della mancanza di idonee operazioni terapeutiche esponga il carcerato a pericoli inconciliabili con il rispetto dei principi costituzionali": solo nelle ipotesi in cui non sia effettuabile una difesa "attiva" del diritto alla salute della persona condannata nelle modalità previste si potrà attuare l art. 147 comma I n. 2) c.p.. Sempre in base all individuazione della patologia fisica, la Corte di Cassazione ha sostenuto che "deve considerarsi grave non solo quella circostanza patologica del condannato che comporta il rischio di morte, ma anche qualsiasi tipologia di malattia fisica che determini il pericolo di altri importanti effetti dannosi o, quantomeno, esiga una terapia che non si possa effettuare dentro il carcere e che per forza abbia possibilità di regredire nel senso del recupero, in tutto o in parte, della condizione di salute" e in altra antecedente pronuncia ha sostenuto che, per l attuazione dell art. 147 comma I n. 2) c.p. "è utile che la patologia fisica, oltre a poter ottenere, nella condizione di libertà, cure e terapie anche differenti e più efficaci di quelle che possono essere concesse nelle apposite strutture del carcere, sia di tale gravità, per presentarsi infausta quoad vitam o per altra ragione”.
Il rinvio obbligatorio dell attuazione della condanna deve essere previsto nella circostanza in cui si riferisca a donna incinta o cha abbia partorito da meno di un anno (art. 146 comma I, nn. le 2 c.p.) o nei riguardi di soggetto con AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria (art. 286 bis comma II c.p.p.), o da "altra patologia molto grave a causa della quale le sue circostanze di salute si presentano inconciliabili con la condizione di detenzione, quando il soggetto si trovi in uno stadio della patologia così evidente da non rispondere più, secondo i certificati del servizio sanitario carcerario o esterno, agli interventi e alle cure terapeutiche" (art. 146 comma I, n. 3).
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Ambedue gli articoli (146 c.p. e 286-bis c.p.p.) sono stati valutati da parte della Corte costituzionale, rivolta alla revisione delle posizioni del Legislatore presentate nella Legge 14 luglio 1993, n. 222 (di conversione del D.L. 14 maggio 1993, n. 139) che aveva rimpiazzato l art. 146 comma I, n. 3 c.p. e il connesso collegamento sul codice di procedimento penale, determinando una disparità rispetto alla materia del rinvio facoltativo e della custodia cautelare in generale.
La totale inconciliabilità e connessa prescritta dall art. 286 bis c.p.p. e art. 146 c.p. si estranea dal grado di efficienza del servizio sanitario carcerario, facendo riferimento mentre ad altri principi legislativi o giudiziari.
Ciò determinava un automatismo nelle procedure stabilite dal giudice: il medico, evidenziate le circostanze diagnostiche, sosteneva l inconciliabilità dalla quale proveniva a (SA) volta il dovere di differimento della pena o il divieto di custodia cautelare.
La Corte Costituzionale nella pronuncia n. 438 del 1995 aveva considerato incostituzionale l art 146 I comma, n. 3 c.p., nella sezione in cui decretava che il differimento avvenisse pure quando l espiazione della pena potesse avere luogo senza pregiudizio della salute della persona e di quella degli altri carcerati.
L inconciliabilità delle circostanze di salute con lo stato detentivo deriva, dunque, da due elementi essenziali: la difesa della salute del singolo soggetto e la difesa della salute degli altri carcerati, per la quale la sussistenza di patologie infettive può rappresentare pericolo.
Altresì l inconciliabilità può essere relazionata pure all effettivo pericolo che la malattia da cui è affetto un carcerato crea agli altri carcerati ovvero al personale del carcere: pure questo pericolo deve essere ovviamente considerato in base alle strutture e alle modalità della vita carceraria di ogni istituto.
Questo condizione di inconciliabilità connessa ha fortemente ridotto il numero delle circostanze di scarcerazione per ragioni di salute: l inconciliabilità va difatti considerata non a livello assoluto, ma in merito alla reale possibilità di cure e alla circostanza strutturale di ogni carcere.
Altresì, l art. 27, III comma, prevede che "Le pene non possono riguardare trattamenti contrari al senso di umanità e devono essere tese alla rieducazione e al reinserimento sociale del detenuto".
Il ruolo di rieducazione della pena cozza con la presenza di un malato nel penitenziario, la quale, mentre, parrebbe giovare l unico ruolo general-preventivo.
Mediante la modificazione dell art. 146 c.p., il nuovo orientamento legislativo prescriva una circostanza di rinvio obbligatorio della pena, che si determina, in maniera analoga per ciò che vale per l imputato, come sola circostanza di inconciliabilità automatica ed assoluta tra circostanze di salute del condannato e detenzione nel penitenziario.
Il punto n. 3 del comma I dell art. 146 c.p., dopo essere stato ritenuto incostituzionale dalla pronuncia n. 438 del 1995, nella sezione in cui stabiliva che il differimento avvenisse pure quando l espiazione della pena potesse avere luogo senza pregiudizio della salute della persona e di quella degli altri carcerati, è stato cambiato in maniera estesa dalla Legge 231/99, in base alla quale attualmente si stabilisce che "L attuazione di una condanna, che non sia pecuniaria, è differita, se deve avvenire nei riguardi di soggetto malato di AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria stabilite in base all art. 286-bis, comma secondo c.p.p., ovvero da altra patologia molto grave a causa della quale le sue circostanze di salute risultano inconciliabili con la condizione di detenzione, quando il soggetto si trovi in uno stadio della patologia così evidente da non rispondere più, secondo i certificati del servizio sanitario carcerario o esterno, agli interventi e le terapie di cura".
La modificazione si connette alla valutazione costituzionale che, nell attuazione della condanna, vieta di mettere in atto trattamenti contrari al senso di umanità, "inserendo in maniera significativa tra i beneficiari, al contrario della norma previgente, non soltanto le persone malate di HIV / AIDS in stadio avanzato, ma pure i condannati che si trovano in circostanze critiche di salute per effetto di altra malattia".
A tal proposito, sempre nella visione di riconnettere la questione dell AIDS in carcere nel più generico alveo dell infermità fisica determinata da qualunque malattia, l attuale elaborazione dell art. 146 c.p. comma I n. 3, prevede in maniera congiunta sia le tipologie di soggetto affetto da "AIDS o da grave deficienza immunitaria stabilite in base all art. 286-bis comma II c.p.p.", sia le circostanze di soggetto affetto da "altra patologia molto grave a causa della quale le sue circostanze sono inconciliabili con lo stato di detenzione".
È utile tuttavia evidenziare di nuovo che ambedue le circostanze assumono fondamento allo scopo del differimento di una condanna detentiva solo nelle circostanze in cui la persona si trovi in una fase della patologia molto avanzata da non dare risposte ai trattamenti e alle terapie messe a disposizione, in maniera conforme a quanto d altra parte evidenziato nella coincidente prescrizione connessa allo stadio antecedente al giudizio di cui all art. 275, comma IV-quinquies c.p.p., venendo quindi a determinare la sola circostanza di automatica inconciliabilità penitenziaria per ragioni di salute.
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Oltre a questo, sembra utile sottolineare come il modello così evidenziato sia conforme pure alle precisazioni della pronuncia n. 438 del 1995 della Corte Costituzionale che richiedeva al legislatore di porre in essere strumenti di prevenzione capaci d impedire che l imputato rilasciato in libertà potesse macchiarsi di nuovi reati; sembra del tutto evidente difatti che l attuale normativa, visti i suddetti requisiti, non consenta il ripetersi di comportamenti criminosi da parte della persona che ha beneficiato del differimento dell attuazione della pena, in base all art. 146 comma I n. 3 c.p. Nell ipotesi di circostanze fisiche incurabili, si può decidere per gli arresti domiciliari al posto del differimento, in base all art. 47 ter, c. primo ter Ordinamento Penitenziario.
Gli arresti domiciliari sono "una misura alternativa connessa alla previsione della totale decarcerizzazione quale forma di attuazione extraistituzionale della condanna detentiva".
Gli arresti domiciliari, regolamentati dall art. 47 ter Ordinamento Penitenziario, inseriti dall art. 13 della Legge 10 ottobre 1986, n. 663, ineriscono il dovere di stare in maniera stabile "nel proprio domicilio o in altro posto di privata dimora ovvero in struttura pubblica di cura, assistenza o accoglienza".
Requisito utile per l attuazione dell istituto in questione è la condanna dell arresto non superiore a quattro anni, pure se rappresentante porzione residua di maggior pena, e la condanna al carcere: l applicazione degli arresti domiciliari è quindi relativa alla condanna da espiare effettivamente, e non da quella irrogata per l illecito compiuto dalla persona.
La sanzione alternativa è di sicuro rivolta a non consentire l entrata del colpevole in carcere con pregiudizio dei rapporti familiari e sociali e delle circostanze di salute del medesimo ovvero a garantirne il progressivo reinserimento all interno della società.
Ulteriore requisito per l attuazione degli arresti domiciliari è rappresentato dalle specifiche circostanze psico-fisiche previste all art. 47 ter comma I lettere a), b), c), d), e). La prima fondamentale circostanza inerisce "donna incinta o madre di figli con meno di 10 anni che vivono insieme a lei"; questa prescrizione proviene dalla necessità di risolvere problemi connessi alla presenza in penitenziari di donne gravide e delle relazioni madre detenuta-prole, garantendo un idonea difesa e salvaguardia allo stato di gravidanza, maternità, e infanzia, secondo la combinata disposizione degli artt. 3, 30, 31 e 32 Cost.
Per ciò che concerne la connessione tra la normativa in questione e gli artt. 146 e 147 c.p., connessi al differimento dell attuazione della condanna, si può, in ipotesi di circostanze da riconnettere ad ambedue gli istituti dal punto di vista dei casi individuali delle persone coinvolte, identificare la funzione di specialità degli arresti domiciliari che, per la loro attuazione, prevedono specifici presupposti legislativi. In merito al caso delle detenute-madri, l art. 3 della Legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione e salvaguardia delle relazioni tra detenute e figli minori), inserisce nella legislazione l istituto degli "arresti domiciliari speciali", attuabile, di fronte a particolare circostanze, alle detenute madri di figli che non hanno più di dieci anni, laddove non si presentano i requisiti prescritti dall art. 47 ter Ordinamento Penitenziario. La lettera b) dell art. 47-ter richiama espressamente pure la condizione del "padre, che esercita la potestà, di figli di età non superiore ai dieci anni che vivono con lui, quando la madre sia morta o al contrario non può per nulla provvedere ad assistere i suoi figli".
Ulteriore circostanza personale che permette l applicazione dell art. 47 ter Ordinamento Penitenziario è quella connessa al "soggetto in stato di salute molto grave che richieda continui rapporti con le strutture sanitarie territoriali":
pure in questa circostanza la portata della normativa è identificabile nella disposizione degli artt. 3, 27 e 32 Cost., ovvero nella necessità di salvaguardare la salute del condannato pure allo scopo di permettere il suo migliore reinserimento nella società, nelle migliori circostanze psico-fisiche.
L art. 47 ter comma I lettera d) salvaguardia mentre l età avanzata del soggetto, insieme alle disagiate circostanze del medesimo, richiamando la circostanza del "soggetto di età superiore a sessanta anni, se inabile pure a livello parziale"; per quanto concerne la questione di "inabilità pure parziale", questo presupposto sembrerebbe escludere sia il concetto di invalidità in ambito assistenziale e previdenziale, tanto quello più circoscritto di infermità pura e semplice.
L ultima circostanza individuale prescritta dalla normativa inerisce il " soggetto minorenne di anni ventuno per accertate necessità di salute, di studio, di lavoro e di famiglia":
le circostanze di salute evidenziate fanno riferimento ad una circostanza non così grave da non poter affrontare in carcere, ma meglio al di fuori dello stesso con trattamenti di lunga durata. Gli arresti domiciliari costituiscono una forma di attuazione extraistituzionale della pena detentiva con l obbligo, per chi ne beneficia, di stare "nel proprio domicilio o in altro posto di privata dimora ovvero in struttura pubblica di cura e di assistenza".
I requisiti per l ammissione dei condannati agli arresti domiciliari sono specifici e visto che si tratta di persone in circostanze fisio-patologiche precise.
Le persone alle quali il beneficio è indirizzato devono essere in circostanze di minor pericolo comportamentale: la legge ha evidenziato il fatto che la considerazione comportamentale sia rigidamente allineata, in termini temporali, al momento del giudizio.
Nell ammettere la misura alternativa degli arresti domiciliari, il Tribunale di Sorveglianza deve stabilirne le forme di attuazione, e ha il potere:
1)di imporre al condannato limitazioni connesse alla comunicazione con soggetti differenti dai familiari;
2) di autorizzare il condannato ad uscire dal posto di detenzione nel corso della giornata per il tempo strettamente utile per provvedere ai necessari bisogni di vita, se non vi sono soggetti preposti a ciò, oppure per andare in strutture di cura.
Il Tribunale deve altresì fissare le forme di intervento del Servizio Sociale. Queste disposizioni possono essere cambiate, nel corso dell attuazione delle misure, dal Magistrato di Sorveglianza pertinente nel posto in cui si effettuano gli arresti domiciliari.
Con la promulgazione della Legge 28 luglio 1984 n. 328 che aveva introdotto nel Codice di Procedimento Penale l Istituto della detenzione domiciliare per gli imputati, si era formato uno sbilanciamento evidente tra lo stadio cosiddetto cognitivo e quello cosiddetto esecutivo, risolto con l applicazione degli arresti domiciliari.
Con l inserimento della Legge 663/86, la questione della conciliabilità con il sistema carcerario ha ottenuto nel corso del tempo sempre più valore medico-legale, con riguardo alla attuazione dell art. 147 c.p., dell art 47 ter Ordinamento Penitenziario e della detenzione domiciliare in base all art. 284 c.p.p.. Infine, ottiene principale rilievo, in materia di differimento della pena, il parere medico-legale che dovrà decretare la totale conciliabilità dell infermità con il sistema detentivo ordinario ovvero l inconciliabilità relativa o assoluta.
È chiaro che le inconciliabilità connesse ed assolute possono avere, in base alle malattie e alle diagnosi, natura temporanea o permanente, per cui questi elementi si devono considerare per l ammissione di una misura alternativa.
Per l assegnazione del differimento della pena restrittiva della libertà individuale che deve essere applicata a vantaggio di chi si trova in circostanze di grave infermità fisica, bisogna dunque che sia presente una grave patologia, tale cioè da mettere a rischio la vita del detenuto o cagionare evidenti effetti dannosi e, tuttavia, tale da prevedere un trattamento che non si possa facilmente effettuare in circostanza di detenzione.
Come già evidenziato, il giudizio sulla gravità ha natura relativa in quanto si basa sulla relazione tra circostanza personale del soggetto e circostanza dell contesto detentivo e, quindi, la constatata infermità rappresenterà condizione possibile di differimento non soltanto perché grave nel modo sopra evidenziato, ma principalmente in quanto considerevolmente resa grave dalla circostanza carceraria.